Cigni neri e alcuni miti del marketing digitale
Ci imbattiamo tutti, nessuno escluso, in pregiudizi, epic fail del pensiero logico. Spesso inconsapevolmente. I più bravi li chiamano euristiche e bias cognitivi. Si tratta di scorciatoie mentali che ci aiutano a elaborare giudizi, prendere decisioni e fare scelte rapidamente, semplificando il processo che dobbiamo svolgere per calcolare la probabilità di un evento. Ci aiutano a saltare molti passaggi in un ragionamento logico al fine di semplificare ed avere prestazioni (del pensiero) più veloci. Per un verso è un bene. Il risvolto della medaglia è che tendono a generare errori sistematici. Questo avviene in ogni campo. Marketing digitale incluso. Si, proprio il mondo del tutto è misurabile.
Ci sono euristiche non corrette che permeano ogni parete di questo ambiente, si riproducono e vengono rafforzate anche da professionisti del settore. Ma si sa le persone vogliono certezze, vogliono i 10 consigli definitivi sul come fare a, vogliono i 5 segreti incontrovertibili e “la guida definitiva” per il successo sul web, vogliono avere l’illusione del controllo e della conoscenza ben organizzata e fruibile in bullet point. Non importa che sia il nulla cosmico impacchettato in una comoda lista. Vogliono tutto e subito, possibilmente con zero sforzo. Non hanno tempo, nemmeno per coltivare un pensiero proprio. E invece un esercizio che dovremmo fare spesso è proprio quello di mettere in discussione le cose e le credenze. Nel ragionare si dovrebbe procedere sempre per congetture e confutazioni. Ancora di più in un mondo in continua evoluzione e dalle variabili complesse, come il digitale.
Una teoria che non può venire confutata da nessun evento concepibile non è scientifica. L'inconfutabilità di una teoria non è (come spesso si ritiene) una virtù, bensì un vizio.
Il marketing digitale avrebbe bisogno di meno “how to”e più razionalismo critico. Meno guru e più Popper. Dovremmo cercare cigni neri invece di lasciarci incantare dai bianchi. Piuttosto che raccogliere dati a conferma delle nostre ipotesi e intuizioni, dovremmo spendere il nostro tempo a cercare di demolirle, a scovarne i punti deboli, a metterle alla prova cioè a “falsificarle”. È l’unica via per capire se un’idea ha gambe forti per farsi strada tra le obiezioni. Se volete allenarvi disattivate le notifiche facebook per qualche giorno e leggetevi Logica della scoperta scientifica del Popper o La trappola del comandante di Carena-Mastrogiorgio o Il Cigno Nero di Taleb. Ci sono alcune credenze del marketing digitale che nel migliore dei casi risultano illogiche, nel peggiore nocive. Eccone alcune dure a morire. L’elenco sarebbe più lungo, magari faremo altre puntate.
1 Social e Content marketing sono low budget. È finito da un pezzo il tempo in cui il Social era visto come il Santo Graal dei marketing manager, uno strumento a basso costo per comunicare direttamente con le persone e creare connessioni emotive con il brand. Oggi senza il supporto dell’advertising un contenuto per quanto eccellente perde opportunità di visualizzazione. E il budget da investire per sostenere una strategia coerente e continuativa sui social non è per niente irrisorio. Quando Coca Cola dice che è “più facile acquistare reach investendo 500 $ in advertising che ottenerla organicamente attraverso una fanpage di 90 milioni di fan” dovrebbe essere palese che i social non sono (più) strumenti a basso costo. L’Organic Reach è destinato ad avvicinarsi sempre più allo zero. Per mantenere e/o incrementare la visibilità è imprescindibile la Paid Reach. Certo l’Italia delle PMI non è la Coca-Cola ma purtroppo anche le imprese italiane che credono di essere “social” quasi sempre lo stanno facendo male. Nella nuova economia dell’attenzione in cui i tempi si restringono e si sfilacciano in micro-momenti mentre i contenuti aumentano a dismisura occorre farsi trovare al momento giusto e fornire utilità, rilevanza e risposte rapide alle persone. Il modo di fare social circense e superficiale o noioso e azienda-centrico ha stancato. Inoltre è ancora diffusa la credenza che i social siano dei driver poco efficaci di conversione e vendita. Sui social si vende, se sai come farlo. Facebook con le sue mille sfumature di targeting è attualmente (assieme a Google) la piu grande piattaforma pubblicitaria. La possibilità di incrociare i dati di proprietà (CRM, newsletter, app, sito web) con i dati social permette di realizzare advertising altamente mirate e creative. È impensabile teorizzare ancora un dualismo “content vs adv”. Soprattutto considerato il customer journey sempre più schizofrenico in cui la conversione è il risultato di un percorso ancora in parte imprevedibile e poco tracciabile dell’utente che si snoda tra diversi touch point digitali, su diversi canali, in micro-momenti separati e distanti nel tempo, conditi con l’influenza di qualche influencer, rafforzati dalla memorability di qualche advertising e condivisi con gli amici tra il social pubblico e privato (dark web delle app di messagistica).
2 Il marketing digitale richiede un approccio completamente diverso rispetto al marketing tradizionale.
Questo è il motivo per cui sto cominciando a mal sopportare l’espressione marketing digitale. Non stiamo parlando di qualcosa di autonomo. Se il digitale non è ancora entrato nel vostro modo di lavorare, di pensare e di fare business, se non permea tutte le funzioni della vostra azienda, allora buona fortuna. Ma d’altro canto è un errore grossolano e pericoloso pensare che ci sia una differenza sostanziale tra i principi del marketing tradizionale e il digitale. Si tratta ancora di “creare valore proponendo soluzioni migliori, facendo risparmiare all’acquirente tempo e fatica per la ricerca e la transazione e offrendo alla comunità il più elevato benessere”. Nel digitale e fuori. Ironia della sorte il digitale risulta più efficace quando gioca con regole tradizionali, soprattutto nell’advertising. E, mi spiace dirlo, ma il digitale non salverà il vostro business se nella vostra azienda è sempre mancata una cultura del marketing. Mentre noi marketer ci raccontiamo le favole dell’engagement, delle relazioni, dell’impresa customer-centric e dell’esperienza utente, l’Italia delle PMI ancora ristagna in paradigmi antiquati legati alla cultura del prodotto. Non c’è da meravigliarsi che oggi molte PMI pensino che innovazione sia aprire una pagina facebook e farla gestire al familiare di turno se allo stesso modo al familiare di turno avevano sempre affidato il marketing e quindi il catalogo, il volantino e l’organizzazione dell’evento. Cambiano gli strumenti, la sostanza resta.
3 Conquistare i Millennials è la strategia più profittevole. Forse la più grossa cantonata degli ultimi dieci anni. Tutti a studiare i gusti mutevoli dei millennials e a creare campagne e prodotti per cercare di sfruttare questo mercato. Eppure le ricerche hanno dimostrato che sono i Millennials stessi a non identificarsi con questa etichetta e che sono il segmento con il più basso potere di acquisto. Premesso ciò ho due considerazioni da fare. La prima è che i marketers farebbero bene a guardare anche a un altro target strategico, quello dei consumatori senior che in Italia sono 19 milioni (ovvero il 42% della popolazione). Alto potere di acquisto, propensione al web quando si tratta di reperire informazioni utili per il processo di acquisto (anche mia nonna conosce Aranzulla, perdire) predisposizione all’uso delle tecnologie e familiarità con ambienti digitali (sorpresi?). Una fetta di target troppo spesso ignorata. La seconda è che utilizzare il termine millennials per descrivere generazioni globalizzate e tecnologicamente avanzate è stupido. I Millennials sono definiti come un target che abbraccia 20 anni, da quelli nati nei primi anni ’80 a quelli nati nei primi del 2000. Ma cosa hanno in comune un 37enne e un 17enne? A parte essere definiti arbitrariamente come Millienals, nulla. È ridicolo considerare i Millenials come un’entità omogenea perché hanno tanto che li unisce ma anche tanto che li divide ed è anche difficile definire in modo restrittivo un gruppo così vasto. L’innovazione e il digital ormai corrono veloci e le tendenze tecnologiche attraversano in maniera orizzontale diverse sottoculture, gruppi e segmenti anche di età diverse. Un approccio migliore e più sensato sarebbe quello di sbarazzarsi del targeting demografico e introdurre un “mindset targeting” cioè focalizzarsi su valori, attitudini e stile di vita come suggerisce l’HBR.
Un approccio migliore è quello di pensare per archetipi che sono rappresentativi di alcuni tratti attitudinali e di comportamento, e poi combinarli con il social, il mercato e le tendenze tecnologiche emergenti - tutte cose che trascendono l'età o la generazione. Definire un cliente ideale per un potenziale prodotto o un servizio utilizzando temi umani più ampi permette di creare soluzioni che si connettano con un gruppo più ampio di persone. Applicare una lente generazionale alle vostre strategie vi si ritorcerà contro.
(la cosa più interessante letta ultimamente online. La traduzione è mia)
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