6 principi del Neuromarketing da sfruttare per creare contenuti di impatto
Parlo spesso di Content Marketing e dell’importanza che sta assumendo la produzione di contenuti di qualità nel digital marketing soprattutto quando si parla di posizionamento e traffico organico, ma non solo. Offrire contenuti di qualità (e cosa intendo per qualità l’ho spiegato qui) è un’arte raffinata e molto potente per avvicinare clienti, farsi apprezzare, distinguersi e dunque raggiungere poi anche obiettivi di business come la raccolta di contatti qualificati, l’aumento delle vendite e del fatturato, la fidelizzazione e la trasformazione del cliente in “ambassador” cioè promotore spontaneo del brand.
La spesa delle aziende in content marketing su internet raggiungerà nel 2020 un giro d’affari di 2,1 miliardi di euro, con una crescita del 186% rispetto al 2014.
L’altra faccia della medaglia è che l’incremento esponenziale dell’offerta di contenuti inevitabilmente va a intaccare l’attenzione e il coinvolgimento che sono diminuiti del 60%.
Creare contenuti in grado di catturare e mantenere l’attenzione, coinvolgere e nell’ipotesi migliore convertire un utente in cliente diventa sempre più difficile.
Come infrangere la barriera fumosa del rumore informativo realizzando qualcosa di distintivo che emerga dalla massa e conquisti i lettori?
Questa è la sfida più grande oggi per i marketer. E il Neuromarketing ci può essere di aiuto.
Ma niente formule magiche, lo sai, è un dogma.
Solo qualche spunto di riflessione che può essere un valido aiuto per realizzare contenuti che funzionino e vincere la partita sul terreno dell’attenzione.
Cos’è il Neuromarketing?
Emerso nei primi anni 2000 il Neuromarketing è un ponte tra le Neuroscienze ed il Marketing.
Gerald Zaltman [autore del libro “The Subconscious Mind of the Consumer (And how to reach it)”] afferma che il 95% delle decisioni di consumo sono influenzate da processi che coinvolgono l’inconscio e quindi sono di tipo irrazionale.
Gli esseri umani prendono le loro decisioni in modo emotivo e istintivo, giustificandole successivamente razionalmente. Ne ho parlato anche qui, a proposito della potenza dello storytelling.
Il neuromarketing analizza i processi che avvengono nella mente del consumatore e che influiscono sulle decisioni di acquisto per comprendere quali motivazioni sono alla base di un minore o maggiore coinvolgimento emotivo nei confronti di un brand.
Cosa ci induce ad associare una determinata emozione a marche e prodotti?
Perché scegliamo un prodotto piuttosto che un altro?
Storicamente i ricercatori di mercato hanno raccolto dati su abitudini e preferenze dei consumatori tramite sondaggi e focus group. Tuttavia questi metodi forniscono solo uno spaccato dei comportamenti dei consumatori per di più impreciso… perché i consumatori non riescono mai ad esprimere perfettamente i meccanismi inconsci che li spingono a comprare certi prodotti.
Perciò il neuromarketing si serve di strumenti biomedicali, di tecnologie e sensori biometrici per capire a livello neurale e fisiologico, i motivi che spingono i soggetti ad optare per una determinata scelta piuttosto che un’altra. Ciò consente di fornire alle aziende uno strumento in più, da affiancare alle indagini di marketing tradizionali, per creare prodotti, servizi e campagne di marketing efficaci.
Le tecnologie usate sono l’ElettroEncefaloGrafia (EEG) per misurare quali aree del cervello vengono attivate durante la visualizzazione di un annuncio o la presentazione di un determinato logo o prodotto e la Functional Magnetic Resonance Imaging (fMRI) per misurare l’ossigenazione del sangue nelle varie regioni del cervello correlata all’attività neuronale, sistemi di rilevamento del puntamento dello sguardo come l’Eye Tracking per analizzare dove cade lo sguardo, ad esempio durante la navigazione in un sito internet e quindi in quali aree collocare elementi importanti come una call to action.
Non siamo in Arancia Meccanica, tranquillo 😉
Queste tecnologie hanno consentito e consentono a grandi aziende di formulare un certo numero di ipotesi sugli elementi di successo e sui punti deboli di una campagna di marketing o di un logo o di un prodotto prima che sia presentato al pubblico.
Il Neuromarketing come del resto le Neuroscienze sono però ancora un campo minato… molto controverso e discusso, sia sul piano etico che scientifico.
In questo articolo vediamo alcuni principi che possono offrire degli spunti ai marketer per la realizzazione di un Content Marketing efficace.
Le neuroscienze ci dicono in sostanza che il cervello, oltre ai due emisferi, si può dividere in 3 parti distinte, 3 diversi cervelli:
- il cervello razionale, cioè la corteccia cerebrale che pensa.
- Il cervello intermedio che sente ed elabora emozioni e sentimenti profondi
- Il cervello primitivo (o rettilineo), l’old brain, che è la parte più profonda, quella che prende in considerazione le informazioni degli altri due e decide
L’old brain domina i meccanismi decisionali. E quindi è il nostro target principale!
È la parte più interna, quella dove si trova l’amigdala, legata alle emozioni più profonde e primitive, alle paure, ai meccanismi di sopravvivenza, alle parti più ancestrali del nostro essere.
Da diversi studi è emerso che l’attività della mente conscia rappresenta solo il 10% delle nostre attività cognitive.
Questo significa che il marketing basato sull’attività conscia è del tutto insufficiente.
È per questo che le neuroscienze sono lo strumento più avanzato al servizio del marketing, perché permettono di indagare la dimensione profonda delle nostre decisioni e parlare direttamente all’old brain.
Come sfruttare il Neuromarketing per creare Contenuti efficaci
“Non mi interessa quello che mi dici intellettualmente … Il rettile vince sempre.”
Per aumentare la consapevolezza del brand, per conquistare lettori e clienti bisogna fare appello al cervello primordiale e parlare il suo linguaggio.
Ecco quindi le 6 caratteristiche principali dell’old brain:
- l’old brain è egocentrico, tende a disinteressarsi di tutto ciò che non lo riguarda personalmente
- l’old brain è sensibile al contrasto netto come rischio/sicurezza, bianco/nero
- l’old brain è concreto
- l’old brain ricorda l’inizio e la fine di ogni situazione o interazione umana
- l’old brain è connesso al nervo ottico e ciò lo rende fortemente visivo, cioè influenzato dalle immagini
- l’old brain reagisce con forza alle emozioni
Come sfruttare quindi questi principi per il tuo marketing di contenuti?
- Sii tangibile: il cervello rettiliano è semplice, e poco attratto dall’astrattezza. Si occupa solo di ciò che può “toccare con mano”. Sii specifico nella realizzazione dei tuoi contenuti e cerca di fornire spesso esempi di ciò che stai trattando, applicazioni a scenari reali, che diano un tocco di concretezza al tuo argomentare.
- Fai appello alle emozioni: ah quanto inchiostro si è versato sulle emozioni e lo storytelling! Amiamo le storie, resta un fatto. Se ti concentri su numeri, notizie, informazioni fredde, stai comunicando al cervello sbagliato. Utilizzare qualche nota di colore, un po’ di umorismo o una storia coinvolgente è una chiave vincente. BuzzSumo ha analizzato 100 milioni di articoli, e in base alle sue conclusioni le tre emozioni più popolari veicolate dai contenuti e che hanno generato più condivisioni sono state: stupore, risate e divertimento. È chiaro che un contenuto che evoca emozioni positive come la gioia e risate è molto più condivisibile di un contenuto che veicola emozioni negative. Cerchiamo per istinto emozioni positive e rifuggiamo quelle negative. Anche il New York Times, nel suo studio sulla psicologia dello “sharing” ha dimostrato che i contenuti che trasmettono sentimenti piacevoli ottengono maggiori condivisioni.
- Sfrutta il Contrasto: il nostro cervello primitivo è addestrato a notare il contrasto e in presenza di esso tende a prendere decisioni più velocemente senza rischio percepito. Perciò prendere una posizione netta distinguersi dalla massa con contenuti insoliti, punti di vista originali, visioni laterali e out of box impressiona positivamente il lettore.
- It’s all About Me baby!: siamo egoisti, egoisti nel profondo perché il nostro cervello rettile gestisce da sempre i meccanismi della sopravvivenza. Di conseguenza, questa parte del nostro cervello è fortemente stimolata da un contenuto che pare rivolgersi direttamente a lui. Risolvi uno specifico e personale problema del tuo target con i tuoi contenuti? Assisti i tuoi lettori con informazioni utili che li aiuteranno a sopravvivere nella giungla dell’overload informativo? Crei davvero valore?
- Sorprendilo all’inizio o alla fine: siamo molto influenzati dall’inizio e dalla fine di un’esperienza e poco da tutto quello che c’è nel mezzo. L’inizio e la fine di un evento, film, libro, o di un articolo altera la nostra percezione del tutto. Anche qui c’è lo zampino del cervello primitivo. Cerca di collocare il tuo messaggio più importante (oltre che nel titolo) all’inizio o alla fine del tuo contenuto o cattura il lettore con un gancio emotivo. Inserisci almeno una call to action nel finale.
- La potenza del visual: è noto che il senso della vista è predominante sugli altri, il nervo ottico è connesso direttamente al cervello primitivo e gli trasmette le informazioni 25 volte più velocemente rispetto al nervo uditivo. I contenuti visuali restano fondamentali in una content strategy per cui non dimenticare di utilizzare immagini, infografiche, grafici e soprattutto contenuti video, che sono la nuova frontiera del marketing e stanno assumendo un’importanza determinante.
Sulla base di queste 6 caratteristiche dell’old brain che ti ho indicato i neuromarketer hanno poi individuato 3 fasi per vendere (o creare un contenuto che stimoli ad un’azione sia esso un articolo o una landing page):
- diagnosticare il pain
- differenziare il claim
- dimostrare il gain
Cosa significa?
- Il plain è il dolore. L’evoluzione dell’uomo ha come obiettivo non il piacere e la felicità ma la sopravvivenza. Ecco perché l’old brain ha prodotto meccanismi di difesa dal dolore e quindi a livello del sistema limbico siamo ancora “settati” sulla sopravvivenza e il dolore. Ed ecco perché per vendere un prodotto/servizio o creare un contenuto efficace devi preoccuparti di ciò che frustra il tuo cliente, devi diagnosticare il suo dolore, il suo problema. Se capisci qual è il pain potrai differenziare il tuo prodotto/contenuto da quello degli altri.
- Il claim è il messaggio. Chiediti sempre se la soluzione che offri al problema del tuo cliente è quella giusta per curare il pain, è vantaggiosa e unica rispetto ai tuoi concorrenti e ciò ti permette di creare quel contrasto che l’old brain ama. Utilizza messaggi concreti, non vuoti e banali, per catturare l’attenzione. Ricorda che la concretezza stimola l’old brain.
- Il gain è il guadagno. Cosa ottiene il cliente dalla tua soluzione? Mostra il guadagno reale che avrà il tuo cliente e comunica in modo concreto i benefici. Devi dimostrarli, non solo comunicarli perché l’old brain è sempre scettico verso il nuovo, perciò occorre dimostrare dettagliatamente tutti i vantaggi del gain cioè il valore.
Conclusioni
Il Neuromarketing è una “scienza” giovane che sicuramente può costituire uno strumento per migliorare l’usabilità e la fruibilità dei servizi offerti ai clienti e aumentare l’impatto e l’efficacia dei nostri contenuti. Ma Neuromarketing e Neuroscienze, come ho sottolineato all’inizio, sollevano obiezioni di natura scientifica ed etica e molti neuroscienziati vedono il loro campo come ancora altamente imperfetto.
Quindi poiché sono uno spirito critico e mi piace anche fare l’avvocato del diavolo quando tratto un argomento controverso ti lascio con questa TED in cui la neuroscienziata Molly Crockett ci mette in guardia dalle tante “neuro-fesserie” in circolazione 😉
Due tra i libri sul Neuromarketing che ho trovato interessanti e piacevoli sono:
- Neuromarketing
di M. Lindstrom
- Le bugie del marketing: Come le aziende orientano i nostri consumi (Marketing e management)
di M. Lindstrom
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